giovedì 25 dicembre 2014

UN'IDEA DI LIBERTA'




«Un'idea di libertà» è un'opera di narrativa complessa e bellissima. 
Un po di notizie dalla prefazione di Alberto Asor Rosa: “[...] Alberto Magnaghi aveva fatto parte in qualità di dirigente – dopo un'iniziale milizia nel PCI – del gruppo denominato «Potere operaio», nato nel 1969 dalla grande fase di lotte studentesche e operaie […] è arrestato il 21 dicembre 1979. Magnaghi, in attesa del processo, trascorre in carcere quasi tre anni. Dal 21 dicembre 1979 al 27 agosto 1980 nel carcere milanese di San Vittore. Dalla fine di agosto del 1980 al 21 settembre 1982 in quello romano di Rebibbia […] Un'idea di libertà non è un libro autodifensivo. E' un libro di attacco. [...]”

Consiglio questo libro perché è qualcosa che non ti aspetti. Non è un atto di accusa o di difesa, è un viaggio lungo quasi tre anni, un percorso mentale capace di esprimere il senso di un'avventura inaspettata. Una brutalità, perché questo è il carcere, raccontata nella sua essenza con mirabile capacità.

[...] Qualche tempo prima, in estate, dopo il aprile, salendo verso Pian del Torto, un grumo di case grigie di pietra affondate in un paesaggio viola cupo dell'Alta Langa, guardando a valle, addensando il respiro – come avviene quando il presente è realmente vissuto – mi dicevo «Se mi capiterà di andare in galera, farò finta che i muri non esistano, vivrò con me stesso tutto il tempo consumato con gli altri». Intanto respiravo i profumi delle more e delle acacie, quasi a immagazzinare sensazioni per l'apnea. [...]”

Non è un libro politico, non ci sono inni o parate, c'è un uomo che racconta il suo vissuto carcerario, senza mai parlare direttamente del carcere. Si è su una nuvola soffice per ritrovare il tempo perduto, sdraiati sulla schiena possiamo ascoltare racconti di viaggi mentali in strade fatte di sbarre e di mura. La «barriera» non c'è più.

[...] Un ragazzo, capelli lunghi, magro, portamento standard della periferia milanese: tacchetti, stivali, giaccone con il collo di pelo, mentre alla matricola ci spogliavano per controllare se nascondevamo qualcosa fra le cosce, mi ha guardato con un sorriso complice e mi ha chiesto: «per che cosa se dentro?» Mi sono sentito molto imbarazzato: se gli avessi comunicato il mio smarrimento e gli avessi detto: «per niente, per una montatura politica», sarei stato ridicolo, l'avrei deluso. Ho risposto: «per costituzione di banda armata».
Forse non ho usato la convinzione che il suo sorriso complice richiedeva: si è girato rivestendosi, senza chiedere più nulla. O forse il ragazzo, immerso nel suo corpo elegante, ha sentito la mia frase – e me con essa – come un ferro vecchio inutilizzabile – la politica – nei suoi desideri di realizzazione. [...]”

LA METAMORFOSI: AUTOANALISI SULLA MUTAZIONE DEI SENSI.
Imparare la geografia del sentiero dei camosci - 14/04/1981 – Rebibbia, Reparto G12

Allontanandosi la memoria del paesaggio un tempo vissuto, la toponomastica muta i suoi riferimenti simbolici, evocativi, affettivi, suggestivi. Lentamente, altre geografie si delineano nella «cultura» del carcerato: una geografia fisica, una geografia politica, una geografia umana.
Il significato evocativo dei nomi di città nella memoria e nell'esperienza individuale e collettiva tende a situarsi in una zona opaca del ricordo, poiché ad esso, prepotentemente, si sovrappone un'altra memoria – individuale e collettiva – che snatura i fattori geografici, antropologici, sociali che il nome di una città solitamente evoca.
Un territorio percorso in tempo di guerra produce, probabilmente, un simile stravolgimento della geografia. In ciascuno questa mutazione è diversa: segue la molteplicità dei percorsi, ma comune è l'assunzione di forme e modi di percezione del paesaggio che attraversiamo nel viaggio nel circuito carcerario.
Questa trasfigurazione del paesaggio traspare nei racconti dei viaggiatori sul «sentiero dei camosci» - tutti noi – che animano le ore d'aria con i nuovi arrivi. Nord-sud, est-ovest, città industriali, turistiche, centri storici, eventi sociali perdono il loro spessore, per essere rappresentati in una scarna geografia ideale i cui punti – la toponomastica dei luoghi – sono collegati ad allucinanti viaggi in catene. La città si contrae nei suoi caratteri paesaggistici fino a essere raccontata attraverso:
  • la distanza dai parenti per i colloqui;
  • le misure dell'aria e l'umidità delle celle;
  • la vista dalle sbarre;
  • le ore di socializzazione, la qualità del cibo e delle guardie;
  • la «geografia politica» della popolazione carceraria;
  • gli eventi rilevanti della storia interna;
  • e così via.
E' un circuito di memoria sotterranea, interna, totale, che non lascia spazio ad altro paesaggio: la città implode nella sua rappresentazione carceraria.
Cuneo, Trani, Novara, Pisa, Milano, Palmi...
La geografia fisica si risolve nella tipologia delle gabbie.
Curiosamente le cartoline che arrivano, e che raccontano le città, sembrano evocazioni di luoghi fantastici. Nel circuito degli speciali è rotto ogni rapporto fra luogo, città, ambiente sociale urbanoe il recinto alieno del carcere, la sua popolazione, il suo brulicare di sofferenze.
Nel grande carcere giudiziario è diverso: la popolazione carceraria riproduce la composizione sociale della città, i suoi costumi, la sua cultura, le sue forme di illegalità, il suo folclore.
Il legame fisico, affettivo, quotidiano fra la vita del carcere e la vita della città è ancora forte: il carcere è una sezione funzionale, uno spaccato della metropoli.
Come un'auto sul ponteggio del meccanico, un raggio di un carcere racconta le viscere di un quartiere più di qualunque descrizione sociologica.
Il carcere è parte integrante della geografia delle borgate : luogo interno all'esperienza e alla cultura popolare.
Nel circuito dei camosci questo rapporto è spezzato, casuale, aleatorio, privo di riferimenti tra popolazione carceraria e cultura locale.
Il carcere speciale è atopico, collocato in un territorio astratto, buco nero nel territorio sociale, come una base missilistica, come una centrale nucleare.
Il rapporto fra carcere e luogo dove è collocato non ha spessore storico, la storia è storia del circuito carcerario tramandata per linee di mobilità interna.
Il rapporto con il luogo, si dà soltanto quando il buco nero «dilaga» verso il territorio, rompe i suoi argini, si fa minaccia nei momenti di tensione di rivolta: allora è vissuto come evento catastrofico, fiume in piena, vulcano in eruzione, fuoriuscita di gas venefici.

Presenza oscura, minacciosa, priva di senso, invalicabile.
Il via vai dei parenti è anch'esso un'astrazione : mutevole nella sua composizione; insieme di ciorpi estranei che ruotano intorno ad un corpo estraneo.
Forse saranno i parenti dei detenuti del sentiero dei camosci, nuovi pellegrini del paesaggio italiano, a raccontare il rapporto fra la geografia dei buchi neri e la geografia ufficiale.
Per noi, nei buchi neri, imparare la geografia è imparare a contrarre il paesaggio in forma di cella e di li ridefinire le coordinate del viaggio e i monumenti del sentiero dei camosci.

Magnaghi A., “Un'idea di libertà”, I edizione 1985, DeriveApprodi 2014, Roma.